NAPOLI - I calciatori non sono tifosi delle squadre nelle quali giocano. E’ una amara verità cui è difficile riuscire ad abituarsi ma con la quale chi ama il calcio è costretto prima o poi a fare i conti. Le "bandiere" non esistono, tranne casi eccezionali (a memoria ricordo solo Totti, Franco Baresi e per certi versi Del Piero, gente che avrebbe avuto a disposizione tappeti rossi per andare in qualsiasi società avesse voluto e che ha sempre rifiutato di prendere in considerazione il trasferimento). Anche se si vedono un po’ su tutti i campi calciatori baciare la maglia o accarezzare il simbolo della società di appartenenza dopo aver segnato un gol, è solo un gesto istintivo dovuto alla gioia effimera di quel momento. Quel che conta per chi lavora con il pallone sono principalmente i soldi, i sentimenti lasciano quasi sempre il tempo che trovano. Queste non sono critiche che erroneamente si potrebbe immaginare, dati i tempi, che io voglia rivolgere al presunto transfuga Kvaratskhelia. Sono solo serene osservazioni della realtà che ci circonda. D’altro canto, mi domando, se a qualcuno di noi venisse offerto di recarsi a Parigi per andare a firmare un contratto di lavoro che prevede per uno svariato numero di anni introiti di 8 o 9 o 10 o più milioni di euro netti, che cosa farebbe? Personalmente, se fosse questa una conditio sine qua non richiesta dalla società nella quale mi appresto a trasferirmi, ci andrei anche a piedi fino a Parigi per firmare quel benedetto contratto. Ho sentito e letto da molte parti critiche a De Laurentiis per avere per troppo tempo rinviato la trattativa con il georgiano per il rinnovo contrattuale, circostanza che sarebbe alla base della sua decisione di andar via. Il presidente del Napoli continua a ritenere che quando un calciatore firma un contratto debba poi onorarlo fino in fondo per tutto il periodo per il quale si è impegnato. Si tratta, è evidente, di una visione un po’ sui generis visto che a un ragazzo di 20 anni che arriva in un club da semi sconosciuto e che grazie alle sue capacità e alla sua bravura in pochi mesi diventa un calciatore appetito da tutte le più grandi squadre d’Europa non si può chiedere di continuare a essere trattato economicamente come una promessa di belle speranze fino a scadenza degli accordi sottoscritti. Questa è una visione sentimentale del calcio che è del tutto fuori dalla realtà. Peraltro il rispetto dei contratti è stato spesso considerato dal Napoli (vedi il caso Lozano) una questione unilaterale, nel senso che riguarda sempre i calciatori e invece non riguarda sempre la società. Tuttavia nel caso di Kvara credo che tutto questo gran parlare, questo interrogarsi su quali siano stati i motivi che hanno spinto il giocatore a desiderare di sfilarsi di dosso la maglia azzurra sia soltanto una perdita di tempo. Vale quanto detto prima: Kvaratskhelia non è un tifoso del Napoli, è semplicemente un professionista che dal suo punto di vista giustamente vuole andare a giocare dove lo pagano di più. E’ già successo in passato. Cavani, Lavezzi, Higuain, Jorginho, Kim, Osimhen e perché no, anche Hamsik. E’ tutta gente che ha fatto il grande salto nel momento ritenuto più favorevole e più opportuno, senza pensarci troppo su. Ora ce la vogliamo prendere con Kvaratskhelia? Io piuttosto gli augurerei buon viaggio e buona permanenza in Francia. Che poi possa avere anche successi professionali nel meno qualificato e meno prestigioso tra i cinque più importanti campionati del continente europeo, francamente è cosa che ci interessa poco o niente. Ricordate la metafora “A nemico che fugge ponti d’oro”? E’ attribuita a Scipione l’Africano, mitico Generale romano e nella sua esplicazione originale (“Hosti non solum dandam esse viam ad fugiendum, sed etiam muniendam”) letteralmente vuole significare che al nemico non solo bisogna concedere una via di fuga, ma anche rendergliela sicura. Non ci rimane che sperare prima o poi di ritrovare Kvara nel Psg in una partita di Champions e di rifilare a lui e ai suoi nuovi compagni di squadra un sonoro mazziatone per prenderci una bella rivincita, ovviamente nel senso sportivo del termine. Diverso è il discorso sui destini del calcio, uno sport sul quale imperversa in maniera ormai esasperata il potere economico di chi ha a disposizione cifre di denaro stratosferiche e che si vuole prendere lo sfizio di investirle nel pallone. Lo sceicco proprietario del Psg lo stipendio annuo di Kvaratskhelia lo copre estraendo petrolio dal sottosuolo del Qatar per un quarto d’ora o forse una ventina di minuti. Che problemi volete che abbia per prendere chi vuole e portarselo a Parigi? Quello che sta accadendo con sceicchi, magnati e fondi internazionali è chiaramente la rovina del calcio. Il Palazzo ha tentato di reagire in passato al diffondersi di questo cancro in maniera un po’ goffa e poco incisiva (mi riferisco al fair play finanziario di Platini). Ma l’illusione è durata molto poco perché, come al solito, fatta la legge è stato trovato subito l’inganno. La verità è questa: o Fifa, Uefa e Federazioni nazionali si convinceranno che è necessario introdurre in maniera seria un tetto salariale per i giocatori o prima o poi il calcio finirà per non far divertire più nessuno. Spero ardentemente di non vedere mai il giorno in cui rimarrò indifferente a una partita di pallone.
Mario Zaccaria
Napoli Magazine
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di Napoli Magazine
14/01/2025 - 23:00
NAPOLI - I calciatori non sono tifosi delle squadre nelle quali giocano. E’ una amara verità cui è difficile riuscire ad abituarsi ma con la quale chi ama il calcio è costretto prima o poi a fare i conti. Le "bandiere" non esistono, tranne casi eccezionali (a memoria ricordo solo Totti, Franco Baresi e per certi versi Del Piero, gente che avrebbe avuto a disposizione tappeti rossi per andare in qualsiasi società avesse voluto e che ha sempre rifiutato di prendere in considerazione il trasferimento). Anche se si vedono un po’ su tutti i campi calciatori baciare la maglia o accarezzare il simbolo della società di appartenenza dopo aver segnato un gol, è solo un gesto istintivo dovuto alla gioia effimera di quel momento. Quel che conta per chi lavora con il pallone sono principalmente i soldi, i sentimenti lasciano quasi sempre il tempo che trovano. Queste non sono critiche che erroneamente si potrebbe immaginare, dati i tempi, che io voglia rivolgere al presunto transfuga Kvaratskhelia. Sono solo serene osservazioni della realtà che ci circonda. D’altro canto, mi domando, se a qualcuno di noi venisse offerto di recarsi a Parigi per andare a firmare un contratto di lavoro che prevede per uno svariato numero di anni introiti di 8 o 9 o 10 o più milioni di euro netti, che cosa farebbe? Personalmente, se fosse questa una conditio sine qua non richiesta dalla società nella quale mi appresto a trasferirmi, ci andrei anche a piedi fino a Parigi per firmare quel benedetto contratto. Ho sentito e letto da molte parti critiche a De Laurentiis per avere per troppo tempo rinviato la trattativa con il georgiano per il rinnovo contrattuale, circostanza che sarebbe alla base della sua decisione di andar via. Il presidente del Napoli continua a ritenere che quando un calciatore firma un contratto debba poi onorarlo fino in fondo per tutto il periodo per il quale si è impegnato. Si tratta, è evidente, di una visione un po’ sui generis visto che a un ragazzo di 20 anni che arriva in un club da semi sconosciuto e che grazie alle sue capacità e alla sua bravura in pochi mesi diventa un calciatore appetito da tutte le più grandi squadre d’Europa non si può chiedere di continuare a essere trattato economicamente come una promessa di belle speranze fino a scadenza degli accordi sottoscritti. Questa è una visione sentimentale del calcio che è del tutto fuori dalla realtà. Peraltro il rispetto dei contratti è stato spesso considerato dal Napoli (vedi il caso Lozano) una questione unilaterale, nel senso che riguarda sempre i calciatori e invece non riguarda sempre la società. Tuttavia nel caso di Kvara credo che tutto questo gran parlare, questo interrogarsi su quali siano stati i motivi che hanno spinto il giocatore a desiderare di sfilarsi di dosso la maglia azzurra sia soltanto una perdita di tempo. Vale quanto detto prima: Kvaratskhelia non è un tifoso del Napoli, è semplicemente un professionista che dal suo punto di vista giustamente vuole andare a giocare dove lo pagano di più. E’ già successo in passato. Cavani, Lavezzi, Higuain, Jorginho, Kim, Osimhen e perché no, anche Hamsik. E’ tutta gente che ha fatto il grande salto nel momento ritenuto più favorevole e più opportuno, senza pensarci troppo su. Ora ce la vogliamo prendere con Kvaratskhelia? Io piuttosto gli augurerei buon viaggio e buona permanenza in Francia. Che poi possa avere anche successi professionali nel meno qualificato e meno prestigioso tra i cinque più importanti campionati del continente europeo, francamente è cosa che ci interessa poco o niente. Ricordate la metafora “A nemico che fugge ponti d’oro”? E’ attribuita a Scipione l’Africano, mitico Generale romano e nella sua esplicazione originale (“Hosti non solum dandam esse viam ad fugiendum, sed etiam muniendam”) letteralmente vuole significare che al nemico non solo bisogna concedere una via di fuga, ma anche rendergliela sicura. Non ci rimane che sperare prima o poi di ritrovare Kvara nel Psg in una partita di Champions e di rifilare a lui e ai suoi nuovi compagni di squadra un sonoro mazziatone per prenderci una bella rivincita, ovviamente nel senso sportivo del termine. Diverso è il discorso sui destini del calcio, uno sport sul quale imperversa in maniera ormai esasperata il potere economico di chi ha a disposizione cifre di denaro stratosferiche e che si vuole prendere lo sfizio di investirle nel pallone. Lo sceicco proprietario del Psg lo stipendio annuo di Kvaratskhelia lo copre estraendo petrolio dal sottosuolo del Qatar per un quarto d’ora o forse una ventina di minuti. Che problemi volete che abbia per prendere chi vuole e portarselo a Parigi? Quello che sta accadendo con sceicchi, magnati e fondi internazionali è chiaramente la rovina del calcio. Il Palazzo ha tentato di reagire in passato al diffondersi di questo cancro in maniera un po’ goffa e poco incisiva (mi riferisco al fair play finanziario di Platini). Ma l’illusione è durata molto poco perché, come al solito, fatta la legge è stato trovato subito l’inganno. La verità è questa: o Fifa, Uefa e Federazioni nazionali si convinceranno che è necessario introdurre in maniera seria un tetto salariale per i giocatori o prima o poi il calcio finirà per non far divertire più nessuno. Spero ardentemente di non vedere mai il giorno in cui rimarrò indifferente a una partita di pallone.
Mario Zaccaria
Napoli Magazine
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